Quando un cliente insoddisfatto è un bene per l’impresa

Quando un cliente insoddisfatto è un bene per l’impresa

Il marketing ci insegna che le imprese devono:

  1. mettere il cliente al centro dei loro obiettivi;
  2. perseguire la soddisfazione del cliente.

In questo senso, le imprese migliori sono quelle che si sforzano di offrire esperienze altamente positive durante l’intero processo di vendita dei loro prodotti e servizi.

Queste sono certezze che chi opera nel marketing conosce bene.

Nessuno ha mai pensato però che offrire esperienze negative possa contribuire a aumentare la soddisfazione del consumatore. Almeno, questo era vero fino a quando non è stato pubblicato il libro di Sampson Lee Pig (Pain Is Good) Strategy: Make Customer Centricity Obsolete and Start a Resource Revolution.

In questo libro, Lee sostiene questo apparente paradosso: le esperienze negative possono essere un bene per le imprese (“Pain Is Good”).

Cerchiamo di seguire il ragionamento di Lee.

Lee parte da questa domanda:

I clienti sono soddisfatti se si eliminano tutte le loro insoddisfazioni?

La sua risposta è un sorprendente “NO”!

Per sostenere questa opinione, Lee cita la teoria del premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman, secondo la quale gli essere umani ricordano solamente due momenti di ogni esperienza: il picco positivo (o negativo) e il momento finale.

Pertanto, cercare di rendere ogni momento dell’esperienza del cliente “indimenticabile” e piena di emozioni positive – come sostiene la teoria tradizionale – è un inutile spreco di risorse, dato che la memoria selettiva tende a ricordare solo due momenti.

Lee utilizza la fig. seguente per rappresentare l’approccio convenzionale delle imprese alla gestione della customer experience, con la curva dell’emozione rappresentata da una retta di valore positivo costante, dall’inizio dell’esperienza fino al termine.

Customer experience costante

In pratica, le imprese cercano di rendere altamente positivo ogni momento dell’esperienza del cliente, dall’inizio alla fine. Pertanto, le emozioni del cliente sono piatte, senza alcun picco e senza un momento finale particolarmente piacevole (linea rossa dell’esperienza nella fig. precedente).

Inoltre, l’idea di perseguire l’Eccellenza spinge a spostare sempre più in alto la linea rossa delle emozioni per differenziarsi dai concorrenti.

Ma questo è uno spreco di risorse perché, non avendo picchi, l’esperienza non verrà ricordata in modo significativo dai consumatori (secondo la teoria di Kahnemam).

Al contrario, se le risorse disponibili sono allocate principalmente in alcuni momenti critici – creando quindi dei picchi di soddisfazione – e non si dedica particolare cura ad altri momenti dell’esperienza del cliente e, quindi, non ci si preoccupa di generare insoddisfazione, si creerà un’esperienza memorabile.

Nella fig. seguente, Lee introduce  una curva blu delle emozioni che non elimina i momenti di insoddisfazione ma che si focalizza su alcuni momenti critici molto positivi: un picco e una momento finale molto emozionanti.

Customer experience revolution

A supporto di questo approccio, Lee descrive la storia di un suo cliente, una banca europea, che lascia che i suoi clienti passino diverso tempo in coda senza preoccuparsi della loro insoddisfazione, mantenuta comunque ad accettabili livelli. Nello stesso tempo, la stessa banca fornisce delle prestazioni eccellenti ai clienti serviti allo sportello, garantendo livelli elevati di attenzione, trattamenti personalizzati e soluzioni su misura.

In questo modo, la banca si è assicurata la fedeltà della clientela, disposta a passare del lungo tempo in fila pur di ottenere il suo ottimo servizio personalizzato e ha risparmiato significative risorse, non spendendo denaro per trovare soluzioni che eliminassero le code.

Secondo la teoria tradizionale, la banca sta facendo un grosso errore perché sta generando un alto livello di insoddisfazione tra le persone in attesa di essere servite da un impiegato.

Il pensiero di Lee è che, al contrario, senza insoddisfazioni non ci possono essere esperienze memorabili.

Questo significa che non bisogna più – come insegnato finora – cercare di soddisfare tutti i principali bisogni dei clienti. Invece, bisogna focalizzare le risorse limitate solo su alcuni importanti bisogni dei clienti target.

Naturalmente, l’azienda deve essere brava nell’individuare:

  1. i bisogni fondamentali dei suoi clienti, quelli sui cui deve eccellere e che gli garantiscono la fedeltà;
  2. i bisogni che, pur importanti per i suoi clienti, possono essere lasciati insoddisfatti.

Nella fig. seguente, nell’asse verticale è rappresentato il livello desiderato di soddisfazione del cliente (Important Level – Customer), mentre nell’asse orizzontale è rappresentato il livello di soddisfazione del cliente desiderato dall’impresa (Importance Level – Brand).

Customer centric

I due quadranti superiori rappresentano il livello di soddisfazione massimo desiderato dai clienti. I due quadranti inferiori rappresentano, al contrario, bisogni che sono poco importanti per i clienti.

Le aziende che seguono l’approccio tradizionale alla soddisfazione si preoccuperebbero solamente di individuare i bisogni più importanti dei suoi clienti e tenderebbero a soddisfarli tutti, posizionandosi sul quadrante superiore a sinistra. In questo modo, le imprese diluiscono le loro risorse tra molti punti di soddisfazione, non generando alcun picco: ma, troppi picchi di piacere = nessun picco di piacere.

Le imprese che seguono l‘approccio di Lee, invece, cercano di individuare quali, tra i bisogni dei suoi clienti, sono quelli veramente fondamentali e mirano a soddisfare solo quelli: si posizionano quindi sul quadrante superiore di destra, in cui contano non solo i bisogni del cliente ma anche quelli dell’impresa.

In questo modo, si creeranno dei momenti di insoddisfazione nei clienti, tenuti però a livelli accettabili, risparmiando cosi parecchie risorse.

L’obiettivo reale di un’impresa deve essere quello di ottimizzare le sue limitate risorse, mantenendo a livelli accettabili i livelli di insoddisfazione dei clienti – senza cercare di eliminarli completamente – concentrandosi invece su pochi punti di maggiore soddisfazione. Quindi, non bisogna posizionarsi sul quadrante superiore di sinistra ma su quello superiore di destra, dove si raggiunge il livello di soddisfazione dei clienti ritenuto più importante dall’azienda (fig. seguente).

Customer centric soddisfazioneIn sostanza, bisogna focalizzanrsi sul punto dove i livelli di soddisfazione più elevati dei clienti e dell’impresa s’incontrano. In questo modo, si evita di sprecare inutilmente delle risorse.

Per esemplificare meglio questo ragionamento, Lee tira in ballo IKEA.

I punti nei quali IKEA raggiunge i livelli massimi di soddisfazione dei clienti sono:

  • qualità dei prodotti
  • prezzi
  • esposizione della merce
  • servizio di ristorazione.

Al contrario, i punti nei quali IKEA genera insoddisfazione “buona”, nel senso che non la ritiene decisiva nel giudizio dei clienti, sono:

  • parcheggio
  • servizio del personale
  • ritiro della merce
  • pagamento alla cassa
  • montaggio del prodotto.

Questi aspetti sono importanti per i clienti, meno però dei punti in cui Ikea raggiunge i livelli massimi di soddisfazione. Lo testimonia il suo grande successo.

Lo stesso discorso può farsi per altre marche.

Per esempio, da Starbucks, le file sono all’ordine del giorno e i prezzi solo alti, ma questo non pregiudica la fedeltà dei clienti.

Apple non si preoccupa dell’incompatibilità dei suoi prodotti con gli altri sistemi, dato che offre soddisfazioni ritenute più importanti dal brand, come design, innovazione, servizio al cliente, esperienza vissuta all’interno dei suoi negozi.

Stesso discorso può farsi per le compagnie aeree low-cost come Ryanair e Southwest Airlines, che fanno pagare i pasti a bordo, i bagagli nella stiva, i posti riservati ecc. Di contro, offrono però prezzi più bassi rispetto a tutte le altre compagnie.

Le file da Starbucks, l’incompatibilità con altri sistemi di Apple, l’eliminazione di molti servizi gratuiti da parte delle compagnie low-cost sono quelle che Lee chiama “insoddisfazioni buone” (good pain). Sono cioè insoddisfazioni su cui l’impresa ha deciso di non investire, concentrandosi su altre caratteristiche in cui offre un’esperienza memorabile.

Queste imprese hanno cioè scelto quali devono essere le giuste soddisfazioni e quali quelle sbagliate. non meritevoli cioè di assorbire molte risorse. Di conseguenza, preferiscono investire i loro soldi per aumentare il livello di soddisfazione sugli aspetti che hanno ritenuto fondamentali, distogliendoli da quelli che hanno invece ritenuto meno importanti.

Il loro “oceano blu”, quello dove non avranno concorrenti agguerriti da combattere, è quello che  si raggiunge:

  • focalizzandosi su ciò che, contemporaneamente, soddisfa i clienti e fa eccellere l’impresa (Branded Pleasure);
  • ignorando imperfezioni e difetti che sono ritenuti un “male necessario” per l’azienda (Good Pain).

Blue ocean

E l’oceano sarà sempre più blu se, invece di seguire la teoria che impone di eliminare le insoddisfazioni dei clienti, non  ci si preoccuperà di loro e si destineranno invece tutte le risorse disponibili verso alcuni precisi picchi di soddisfazione e piacere.

Occorre comunque precisare che Lee raccomanda di non badare ai punti di insoddisfazione solo fino a quando non si raggiungono livelli inaccettabili: insomma, c’è un limite anche al tempo che le persone possono passare facendo la fila!

Secondo le parole di Lee:

L’obiettivo comune di ogni organizzazione è quello di avere la fedeltà dei clienti. Se i clienti non ti ricordano non puoi avere la loro fedeltà.

Il biglietto d’ingresso per la fedeltà è la creazione di una customer experience memorabile.

La customer experience memorabile non si raggiunge però – come insegna la teoria tradizionale – cercando di soddisfare la maggior parte dei principali bisogni dei clienti in modo da essere bravi in tutti gli aspetti della customer experience. Secondo Lee, invece bisogna convincersi che l’insoddisfazione può andare bene (Pain Is Good = PIG) se serve a destinare più risorse nella costruzione di esperienze memorabili.

In questo modo, l’azienda può differenziarsi dai concorrenti in maniera significativa, dato che genera dei piaceri che sono difficili per i concorrenti imitare e può massimizzare l’efficacia delle sue limitate risorse.

CONCLUSIONI

Il modello di Lee si fonda su quello che apparentemente sembra un paradosso: provocare insoddisfazione ed emozioni negative nell’esperienza del consumatore è fondamentale per lasciare nelle persone un ricordo memorabile dell’esperienza stessa.

Quest’idea nasce dalla constatazione che le imprese operano in un contesto di risorse scarse e, quindi, cercare di raggiungere livelli eccellenti in tutte le dimensioni che caratterizzano l’esperienza fornita rischia di far disperdere inutilmente molte risorse. In più, essere così customer-centric non rende diversi dalla concorrenza: la maggior parte delle imprese cerca di soddisfare la maggior parte dei punti critici dei clienti. Se poi ci riesca è un altro discorso.

Diverso è il discorso se si focalizzano le risorse solo su alcuni aspetti molto importanti della customer experience, costruendo esperienze davvero memorabili. A questo punto, anche se si creano necessariamente dei momenti di insoddisfazione, questi – se non si scende sotto un livello eccessivo – non sono sufficienti per abbassare il livello di soddisfazione creato dai momenti memorabili.

La teoria è molto intrigante anche se urta contro la logica comune. In ogni caso, ci impone un momento di riflessione.

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